Il Milan ha due volti o meglio due C. La C di Campionato e la C di Champions League: secondo in classifica nel primo caso, ultimo con 0 punti nel secondo. La sola costante è che – va detto per onor di cronaca – è una squadra che diverte veder giocare, pure quando ha perso contro il Liverpool e l’Atletico Madrid ha disputato due partite entusiasmanti (risultati a parte), l’anima e l’impegno sono state palpabili e contagiose. C’è stata persino l’illusione di un colpaccio. Anni addietro sarebbe stato impensabile, basta ricordare (io non lo voglio fare!) a come giocava. Ora, quando ci sono le partite non è una costante sofferenza e la speranza di un risultato positivo è decisamente più concreta. Non si inizia una gara con: “speriamo bene!“. Si gioca. Punto. Non è solo una rassegnazione già dalla partenza.

In campionato sembra tutto girare bene e si può giocare la competizione con le altre sorelle, ma è bene restare con i piedi per terra perché la strada ancora è lunga. Discorso diverso in Champions, dove fatica e tanto. Per inesperienza, per errori, perché le altre squadre sono oggettivamente più forti o per interventi arbitrali sbagliati, il Milan non ha fatto un solo punto nel girone di andata. Col Porto poi – la più accessibile delle tre – non ha mai tirato in porta, ha sbagliato tanti passaggi, tante azioni di gioco… insomma, una brutta partita. Ci sono i numerosi infortuni (un piccolo alibi), il fallo non fischiato sull’azione del gol, ma con i se non si vincono le gare, men che meno la Champions League. Certo, la terza C – intesa come culo (scusate se a volte parlo francese) – serve sempre, nello sport come nella vita. Ma non siamo qui per filosofeggiare.
In questi mesi mi sto divertendo a guardare il Milan ed erano anni che non mi accadeva. Vada come vada, almeno si passa una piacevole stagione calcistica. Poi se ci scappa qualche trofeo meglio ancora. Ma non vogliamo illusioni e sogni troppo arditi. Parola d’ordine: volare basso. Ovviamente in Italia, perché in Europa più basso mi sembra difficile!